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Giovani ingegneri in Turchia: tra lavoro, cultura e nuove scoperte

21 novembre 2025

Vi facciamo conoscere meglio Michael Esposito, Marco Sansone e Giovanni Sbrosi, giovani ingegneri della Direzione Manufacturing & Logistics, che da diversi mesi vivono un’esperienza di lavoro presso il nostro stabilimento in Turchia.
Abbiamo chiesto loro raccontare questo percorso professionale, tra sfide professionali e curiosità della vita quotidiana in un nuovo Paese.
 
Potete raccontarci in cosa consiste il vostro ruolo nello stabilimento di Bandirma?
MICHAEL: all’interno della divisione Manufacturing & Logistics ricopro il ruolo di Responsabile di Produzione del reparto motori di Bandirma. Lo scorso 12 maggio 2024, in Turchia, è stato inaugurato il FARMotion Plant, una nuova fabbrica dedicata alla produzione dei motori FARMotion a 3 e 4 cilindri, e prossimamente anche a 6 cilindri.
Nel mio incarico sono responsabile del coordinamento e della supervisione delle attività produttive, della gestione delle risorse attraverso i team operativi e della garanzia che i processi vengano svolti in modo sicuro, efficiente e in linea con i target di produzione e di qualità. Inoltre, mi impegno nell’individuare aree di miglioramento continuo, proponendo soluzioni per rendere i processi più snelli, affidabili e sostenibili, e trasmettendo questo approccio ai miei collaboratori.
Parallelamente, sto coordinando l’industrializzazione del nuovo motore a 6 cilindri, fungendo da punto di raccordo tra i diversi plant e i dipartimenti coinvolti nel progetto.
MARCO: ho iniziato questa esperienza da expat con una sfida del tutto nuova: ricoprire, per la prima volta nella mia carriera, il ruolo di Responsabile di Manufacturing Engineering. Fin dall’inizio l’obiettivo della missione è stato chiaro: ripensare i flussi produttivi introducendo i principi della lean manufacturing – come kanban, picking e JIS – per rendere la produzione più snella, ridurre gli sprechi di materiale e aumentare così la produttività. Un traguardo altrettanto importante era quello di formare le persone su questi concetti, affinché, al termine del progetto expat, l’organizzazione fosse in grado di proseguire in autonomia.
Nel mio ruolo di Responsabile di Manufacturing Engineering a Bandirma, mi è stato affidato un team di sei persone, suddivise in tre aree di competenza: work analysis, workplace organization e digital manufacturing. È giusto sottolineare, però, che a questo grande progetto di riorganizzazione hanno contribuito anche molte altre figure fondamentali, senza le quali non sarebbe stato possibile raggiungere i risultati ottenuti.
GIOVANNI: a Bandirma faccio parte del team di Production Planning locale, dove supporto i colleghi nella gestione operativa quotidiana: dalla definizione dei volumi produttivi di trattori e motori destinati al mercato domestico, fino alla pianificazione dei fabbisogni di componentistica core proveniente dall’India.
Queste attività vengono svolte in costante coordinamento con l’Headquarter, per recepire rapidamente le decisioni aziendali, diffondere modelli operativi consolidati e fornire report digitali chiari, immediati e facilmente consultabili.
Parallelamente, partecipo anche a progetti di pianificazione di gruppo, che mi offrono la possibilità di osservare da vicino come le diverse strategie operative si riflettano sui vari stabilimenti. Tra questi, naturalmente, anche Bandirma, oggi protagonista di una fase di forte crescita e trasformazione.
 
Quale progetto vi ha appassionato in modo particolare?
MICHAEL: la parte più interessante e gratificante della mia esperienza attuale è stata senza dubbio l’avviamento da zero del processo produttivo in un plant completamente nuovo e il successivo ramp up. Ricordo ancora perfettamente il mio primo incontro con il reparto motori, nel febbraio 2024: davanti a me c’era una linea di montaggio vuota, isolata al centro dello stabilimento, in attesa di prendere vita.
Settimana dopo settimana, mese dopo mese, quello spazio si è trasformato sotto i nostri occhi: si è popolato di macchinari all’avanguardia, strumenti di test e controllo qualità, e soprattutto di persone competenti e motivate. Coordinare e ottimizzare processi produttivi, flussi logistici, sistemi di monitoraggio e percorsi di formazione degli operatori si è rivelato un compito complesso, ma al tempo stesso estremamente stimolante e arricchente.
Il momento più emozionante è arrivato quando, dopo tanto lavoro e dedizione, abbiamo visto il primo motore prendere vita sulla linea di montaggio e avviarsi per la prima volta. È stato un traguardo carico di significato, non solo per me, ma per tutto il team che, con impegno e passione, ha reso possibile questo risultato.
 
MARCO: sinceramente, tutto il progetto di riorganizzazione delle linee produttive è stato – e continua a essere – estremamente appassionante. Stiamo ancora lavorando agli ultimi dettagli e nelle prossime settimane arriveremo alla conclusione del percorso.
Ricordo come se fosse ieri il nostro primo traguardo, ormai un anno fa: l’organizzazione del primo carrello picking sulla linea trasmissioni. All’inizio c’era incredulità, quasi scetticismo. L’idea di avere su un unico carrello soltanto il materiale necessario ad assemblare una singola trasmissione sembrava un concetto “extraterrestre”. Alcuni operatori, preoccupati, mi fermavano dicendomi: “Così fermeremo la produzione, non ce la faremo mai!”.
Non è stato facile cambiare il vecchio approccio produttivo e, soprattutto, il mindset. Ma oggi la situazione è completamente diversa: gli stessi colleghi che inizialmente erano diffidenti, quando mi incontrano, mi ringraziano per il lavoro fatto. È stato emozionante vedere lo stabilimento trasformarsi, crescere ed evolversi, e con esso anche le persone che lo vivono ogni giorno. Sono esperienze e sensazioni che porterò sempre con me e che mi hanno fatto crescere non solo dal punto di vista professionale, ma anche personale.
 
GIOVANNI: la parte più gratificante di questa esperienza è stata senza dubbio il confronto diretto con i colleghi, per individuare insieme le aree di miglioramento, introdurre nuovi modus operandi di gruppo e facilitare l’interazione con la sede centrale. Tutto è partito da un’analisi attenta dei metodi già in uso e da una reale comprensione delle esigenze locali. Vedere come, grazie all’implementazione di metodologie condivise, le persone operative abbiano iniziato a interagire direttamente e in autonomia con l’Headquarter è stato un grande risultato.
Un’ulteriore soddisfazione è stata poter curare la formazione di un collega in loco sul mantenimento della reportistica digitale adottata a livello di gruppo: un passaggio importante per garantire continuità e autonomia.
Questa esperienza mi ha fatto crescere sia sul piano tecnico che su quello relazionale, rafforzando la mia capacità di fare da ponte tra realtà operative diverse. Devo dire che, nel mio caso, tutto è stato reso più semplice dalla naturale disponibilità e accoglienza con cui i colleghi turchi mi hanno accompagnato fin dal primo giorno.
 
Quali differenze avete notato tra il lavoro in Italia e in Turchia?
Tra i due Paesi esistono inevitabilmente differenze culturali, linguistiche e religiose che si riflettono anche nelle abitudini quotidiane e nei modi di lavorare. Si tratta di sfumature, certo, ma che meritano attenzione e vanno affrontate con apertura e curiosità. Questo è particolarmente importante in un ruolo come il nostro, che richiede relazioni interpersonali strette e costanti con i collaboratori.
In diverse occasioni abbiamo dovuto adattare il nostro approccio, sperimentando modalità diverse per comunicare un concetto o introdurre un metodo di lavoro. Col tempo abbiamo compreso che questa capacità di adattamento non è solo una necessità, ma anche una straordinaria opportunità di crescita: l’esperienza da expat, infatti, si traduce in un arricchimento profondo, sia dal punto di vista professionale che personale.
 
Qual è stata vostra prima impressione della Turchia?
La nostra prima impressione è stata da subito estremamente positiva, grazie alla calorosa accoglienza ricevuta all’interno della “famiglia SDF di Bandirma” – espressione con cui il Plant Manager Gökhan ci aveva salutato il primo giorno. E devo dire che non erano solo parole: fin dai primissimi giorni abbiamo potuto toccare con mano questa familiarità, con colleghi sempre disponibili ad aiutarci e a supportarci in ogni esigenza, anche al di fuori dell’ambito lavorativo.
GIOVANNI: non essendo mai stato in Turchia prima, ero partito con curiosità ma senza particolari aspettative. È bastato poco, però, per capire di trovarmi in un contesto accogliente: dopo aver esplorato Bandirma nei primi giorni, ho scoperto una città tranquilla, a misura d’uomo e sorprendentemente vivibile.
 
Avete imparato qualche parola o espressione turca che usate spesso?
Sì, nel corso di questo anno e mezzo in Turchia abbiamo avuto modo di avvicinarci alla lingua, sia grazie ad alcuni corsi online seguiti per curiosità personale, sia – per così dire – per osmosi, vivendo ogni giorno immersi in un nuovo contesto. Oggi riusciamo a comprendere i concetti principali di una conversazione, cosa che ci aiuta molto nella quotidianità, anche se parlare fluentemente rimane una sfida a parte.
MICHAEL: una delle prime espressioni che ho imparato, e che ancora oggi utilizzo più spesso, è “kolay gelsin”, che letteralmente significa “che sia facile per te”. Può essere tradotta anche come “buon lavoro” e, pur essendo un semplice saluto, racchiude un significato di incoraggiamento e buon auspicio. È una frase breve ma molto potente, perché crea immediatamente vicinanza ed empatia: due ingredienti fondamentali in un ambiente di lavoro. Non a caso, viene sempre accolta con un sorriso.
 
C’è un piatto tipico che vi ha conquistato (o uno che proprio non riuscite a mangiare)?
Uno dei piatti turchi che preferiamo in assoluto è un dolce: il baklava. Un dessert complesso e raffinato, fatto di sottilissime sfoglie di pasta fillo che racchiudono diversi tipi di farciture. La versione più diffusa è quella al pistacchio tritato, ma esistono anche varianti con noci, nocciole e persino con il cioccolato.
In generale dobbiamo dire che la cucina turca è ricca, variegata e, sotto molti aspetti, vicina alla nostra: per questo ci siamo adattati senza grandi difficoltà.
MARCO: se però devo individuare un piatto che proprio non riesco ad apprezzare, da buon italiano non posso che dire… la pasta – o meglio, la makarna, come viene chiamata qui. Ecco, su questo punto resto inflessibile: diffidate sempre delle imitazioni estere, perché la vera pasta è e rimarrà solo quella italiana!
 
Come trascorrete il tempo libero?
Nel tempo libero ci piace mantenere uno stile di vita attivo: la sera ci alleniamo in palestra insieme ai nostri amici turchi e, quando il meteo lo permette, non rinunciamo a una passeggiata in centro città o sul lungomare, sempre molto piacevole.
I weekend, invece, sono spesso dedicati ad attività di gruppo con i colleghi: dalle giornate al mare alle escursioni in montagna, dai tornei di calcetto alle battute di pesca, fino alle gite fuori porta a Bursa o Istanbul. E quando c’è l’occasione, ci concediamo anche tour in luoghi straordinari come la Cappadocia.
Insomma, tra sport, natura e momenti di socialità… non c’è davvero il rischio di annoiarsi!
 
Che consiglio dareste a un collega che sta per affrontare un’esperienza all’estero?
Un consiglio che potremmo dare a chi intraprende un’esperienza simile, è quello di viverla con entusiasmo e curiosità. Preparati a incontrare culture, abitudini e modi di lavorare diversi dai nostri: osserva queste differenze con umiltà e prova a comprenderle, trasformandole in un arricchimento personale. La capacità di adattarti diventerà una delle tue risorse più preziose.
Allo stesso tempo, porta con te la tua professionalità e i tuoi punti di forza, condividendoli con tenacia e determinazione. È proprio nello scambio di conoscenze ed esperienze che risiede il vero valore di un percorso da expat.
Infine, al di fuori del lavoro, sfrutta ogni occasione per esplorare, stringere nuove amicizie e vivere pienamente la cultura locale. Con questo spirito, l’esperienza non ti farà crescere soltanto come professionista, ma soprattutto come persona.
 
Un ringraziamento a Michael, Marco e Giovanni per aver condiviso la loro esperienza, che ci ricorda come le sfide professionali possano diventare anche occasioni di crescita personale e di scoperta del mondo.

A cura di Alessandro Minora

 

 

 

 

 

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